pagg. 88
cm. 14x21
ISBN 9788888852904
La produzione letteraria di Angelo Savaris è principalmente scritta, per elezione, nel dialetto veneto di Rovigo, diversamente, la presente ultima fatica è in lingua, fatto in sé che le certifica una connotazione meno provinciale o veneta e più italiana o universale. Lo meritano i soggetti proposti, i medaglioni dei vari personaggi evocati e quello stile così intrigante in cui Angelo è maestro.
Un piccolo merito, anche se da poco, va attribuito anche al sottoscritto: quello di averlo spinto a questa ennesima fatica, cioè a mettere da parte il poetico verseggiare per passare a una curiosa quanto godibile narrazione prosaica. Se mi si perdona la presunzione, il racconto “La macchina invisibile” glielo commissionai proprio io, nel tentativo di adattarlo poi a un’azione di teatro musicale, cui veramente ancora penso. Ma, non appena mi resi conto della qualità fantastica che permeava quelle pagine, lo pregai di dar seguito agli altri racconti della presente raccolta, dove il suo alter ego Libero Buson annotasse “coscienziosamente” sul proprio diario le cronache di tante maldestre ma stupecacienti gogliardate.
Sono avventure d’anteguerra, che sprizzano l’entusiasmo della stagione più bella, vale a dire quella di gioventù, che trattano dei tanti progetti che un’accolita di spiriti
“liberi e forti” ha perpetrato, spesso cogliendo a pretesto l’annuale fiera rovigota. L’atmosfera che vi si respira è quella tipica, tante volte illustrata dallo stesso Angelo nei suoi disegni,
dov’è sempre un baraccone da luna park, col mago sotto il tendone, e fuochi artificiali nella nebbiosa nottata, nel fascinoso furore delle giostre in corsa. I personaggi sono quelli noti, alcuni
dei quali già ricordati nel riuscitissimo “Album de fameja”: il Professor Callegari, la Galinazza, il maestro Pendon, l’inventore Squacifero e tanti altri, sempre istigati da Beppe Valente. Le
spassose ed eccentriche imprese vanno dall’invenzione di una macchina invisibile al furto del cinto, “un filtro d’amore, che gli ignoranti chiamano vino”; dalla riuscitissima prima dell’opera
Catacisma del maestro Pendon, alla spedizione punitiva contro le malafemmine e la disfida nel cannone da circo. Tutte condite da memorabile enfasi e suggestioni che non mancheranno di commuoverci
per quel mondo surreale tanto idealizzato, ma ahinoi perduto, che dovremmo serbare e gustare con nostalgia.
Leonello Capodaglio
Lendinara, 24 Settembre 2008
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