Sapevate che i 14 partigiani che fucilarono Mussolini a Dongo erano dell'Oltrepò Pavese? Ebbene sì: le brigate partigiane dell'Oltrepò si resero protagoniste non solo di questo episodio, ma di molti, importanti fatti che si sviluppano lungo tutta la storia della Resistenza.
Già da prima il territorio si era rivelato insofferente al Ventennio, essendo il tessuto sociale prevalentemente operaio e contadino, di forte influenza socialista. Ma con l'occasione della Resistenza molti abitanti decisero di combattere in prima persona, prendendo le armi da caccia (inizialmente) e dandosi alla macchia, salendo sui monti.
Le prime bande si formarono già subito dopo l'8 settembre del 1943, per iniziativa spontanea, e si divisero sia per territorio che per ispirazione politica. L'ingrossarsi delle loro file infatti fece sì che si organizzarono in tre grandi gruppi, quello socialista vero e proprio, dando vita alle formazioni Matteotti; quello ispirato a Giustizia e Libertà, ovvero i giellini; e quello comunista, dando vita alle brigate garibaldine. Col tempo poi vennero coordinate in modo centrale dal Comando Unificato della VI zona ligure, in modo da risultare più efficaci nelle azioni.
La loro efficacia fece sì che nell'agosto del 1944 partì il primo rastrellamento da parte delle forze naziste e fasciste; un migliaio di militi partì da Varzi per attaccare i partigiani in direzione di Bobbio e per rendere sicure le valli Borbera, Trebbia e Aveto, fondamentali per il passaggio dei carri in ritirata dopo la caduta della Linea Gotica. Numerosi furono gli scontri, e numerosi furono i caduti durante il rastrellamento, sia negli scontri a fuoco che nelle fucilazioni sommarie da parte dei nazifascisti. Questi ultimi, a rastrellamento completato, non lesinarono le violenze sui civili inermi, compreso l'assassinio del parroco di S. Pietro Casasco, don Paolo Ghigini, accusato di favoreggiamento verso i partigiani. Diedero anche fuoco a tutti i granai della Valle Staffora, per affamare la popolazione resasi complice attiva della resistenza.
La scomparsa di numerosi comandanti e combattenti diede il via a una profonda, necessaria riorganizzazione interna, mettendo al comando delle formazioni garibaldine “Primula rossa”, Angelo Ansaldi, e spingendo per aumentare il coordinamento tra le forze e superando le differenze politico-ideologiche che le vedevano non contrapposte, ma comunque separate.
Lo sforzo di coordinamento porta ottimi frutti, tanto che il 20 settembre le brigate partigiane riescono in un'impresa storica: la liberazione, dopo aspri combattimenti, della cittadina di Varzi, che collegandosi alla vicina Bobbio forma un'ampia Zona Libera con governo democratico, che durerà un paio di mesi, ma che vedrà il fiorire di una vita libera e normale, con la stampa di un periodico partigiano “Il garibaldino” che segnerà nelle sue pubblicazioni tutti gli interventi politici, sanitari, scolastici, agricoli e lavorativi della rinata Varzi.
Purtroppo però la ritirata dei tedeschi continua, e il fronte si avvicina sempre più. A novembre il coordinamento inglese di tutte le formazioni partigiane ordina la smobilitazione, seguita subito dopo dal grande rastrellamento invernale. Per due mesi infatti, da fine novembre a fine gennaio, migliaia di tedeschi, appoggiati dai fascisti, violentarono le terre dell'Oltrepò alla ricerca dei partigiani e dei loro fiancheggiatori, dandosi a esecuzioni sommarie, stupri diffusi, soprusi in ogni dove. Le forze partigiane dovettero nascondersi, anche scavando buche nel terreno per dieci-quindici uomini, per poter sperare di sopravvivere. Pian piano si cercò anche di filtrare oltre il fronte, per attestarsi sulle posizioni di partenza, ma furono spostamenti sempre ad alto rischio.
Ciononostante, dopo il rastrellamento le brigate partigiane si riorganizzarono, si coordinarono, e riuscirono a riprendersi la vittoria. Liberarono infatti, sfruttando anche i mezzi abbandonati dai tedeschi nella fuga, tutte le loro colline, grazie anche agli enormi sforzi nei combattimenti di febbraio e marzo 1945, fino a guidare l'entrata a Milano nel tardo pomeriggio del 27 aprile.
È in questa cornice complessa e articolata che si inserisce il libro di Matteo Tamburelli, appassionato di storia, “La lunga fine – 1944-1945: L'ultimo anno di guerra del Commissario Novaretti”. Il maggiore Novaretti è un commissario della questura, con un trascorso nell'OVRA e un passato pesante da portarsi appresso. Viene rispedito al suo paese natale, Baldovino, per cercare di mettere ordine nella sua città, dove tra attentati, appostamenti e sparatorie vengono uccisi personaggi centrali della polizia cittadina. Rocco Novaretti cercherà di capire chi siano i veri mandanti delle esecuzioni, e rischierà in prima persona la propria vita, nel mezzo del fuoco incrociato di vecchi e nuovi nemici “interni” e quello dei partigiani alla riconquista del territorio.
Un libro particolareggiato e circoscritto, che permette da un lato di assaporare il vissuto reale dei protagonisti dell'epoca dell'una e dell'altra parte, dall'altro di continuare a seguire le avventure mozzafiato di Rocco Novaretti, giunte ormai al loro terzo volume di thriller storici di notevole successo.
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